ANNO 2000/2005
Vera è una diciassettenne vitale, istintiva e un po’ atipica: una “veteromane”, come lei stessa si definisce, con gusti letterari e musicali diversi da quelli dei coetanei, con aspirazioni vaghe e indisciplinate. I suoi compagni la chiamano nonna e la trattano come una consulente archeologica: eppure è lei l’anima del gruppo, “ma quella persa, quella delle proposte bizzarre, inverosimili”, perché Vera, piú che in cerca di approvazione, è da sempre in cerca di adorazione. Ha un padre lontano, a cui scrive lettere destinate a restare senza risposta, e una madre vicina ma assente, sempre impegnata in nuovi e improbabili progetti. Frequenta con dignitoso profitto il liceo classico ma la scuola non la soddisfa perché le sembra di avere a che fare con una mentalità, un umorismo, un linguaggio inservibili, lontani dalla vita. L’amore per un ragazzo conosciuto per strada le regala emozioni potenti, e in ultimo, con il distacco, un dolore nuovo, immenso. Ma l’incontro fondamentale deve ancora arrivare: a formare Vera in modo sotterraneo ma definitivo sarà un vecchio linguista dolcissimo ed eccentrico, Otto November, il quale, col suo sguardo bambino, capace di vedere dentro, “in forma stupefatta, nascente, l’atto di parlare, come una creazione continua, rotatoria”, le insegnerà che dietro e dentro le parole c’è un uni- verso: le parole sono resti di sensazioni antiche, sono tracce di emozioni, dicono l’andata e il ritorno del nostro rapporto con le cose, l’ emozione dell’incontro e dello scontro, sono lo specchio di un popolo, “del suo mutar di pelle o della sua immutabilità”, “cambiano insieme alla vita e vanno a significare la tua tragedia e la tua commedia”, dirà Otto nel corso di alcune lezioni improvvisate, lezioni calde, bellissime, in un linguaggio finalmente vicino alla vita. Cosí vicino alla vita che può migliorarla: e infatti quelle piccole lezioni di glottologia riescono a modellare l’inquietudine di Vera, a dare un suono al suo mondo. È anche grazie a esse che nell’ultima pagina del romanzo troviamo Vera già adulta, sdraiata su un prato a guardare le stelle, finalmente capace di desiderare: perché desiderio (de + sidera) -diceva Otto – “è guardare le stelle e chiedere che da loro scenda qualcosa”.